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Ah, Berlin! Berlin, Du bist arm aber sexy

Cristiana Zorzi

C’era una volta Berlino. Povera, ma sexy.

Die neue Jannowitzbrucke

Die neue Jannowitzbrucke – Cartolina dall’archivio SGI

Cartolina del Fondo Elio Migliorini - SGI

Cartolina del Fondo Elio Migliorini – SGI

Prima che l’Ovest invadesse l’Est. Prima che gli squat venissero sgomberati perché a Berlino non c’è più posto, la richiesta è troppa, e gli appartamenti troppo pochi, e la città troppo grande per costruire fuori: bisogna invadersi da dentro. Prima che gli artisti dovessero ricorrere ad una sorta di “eutanasia artistica” per preservare gli ideali dalla voragine che tiene costantemente affamata la globalizzazione. Prima che le sue geografie piene di tutti quei vuoti che la storia ha lasciato a Berlino, si riempissero di un vuoto più incolmabile: quello degli ideali di resistenza che vengono ingoiati dal mercato globale.

Warschauer Brucke, vista verso Alexander Platz (foto di C. Zorzi)

Warschauer Brucke, vista verso Alexander Platz (foto di C. Zorzi)

Berlino era la città dalle tante anime. Dire che ne possedeva due, sarebbe riduttivo. Limitare una città “senza patria” al dualismo oriente-occidente non è possibile. A Berlino non ci sono i tedeschi, a Berlino ci sono i berlinesi. E a Berlino Est ci stanno (stavano, o vorrebbero ancora starci) gli artisti, le persone senza patria, quelle in cerca di una patria, gente che scappa, e gente che si ritrova, gente che sta, sta in quel momento e in quello spazio, gente che abita.

 

Warschauer Brucke, vista verso est (foto di C. Zorzi)

Warschauer Brucke, vista verso est (foto di C. Zorzi)

Berlino era la città dell’adesso. Quel luogo dalle molte anime, in cui era possibile identificarsi, appartenersi: a Berlino ci si sentiva appartenere alla città, e la città ci apparteneva. Berlino era quel posto diviso dove, appunto perché era diviso, un po’ come tutti e tutto lo sono, era possibile sentirsi liberi d’essere liberi da ogni costrizione e divisi. Berlino era il posto dove tutti potevamo sentirci “Visconti dimezzati”, e dove potersi esprimere con un senso di appartenenza totale e dire: «Ich bin ein Berliner». Quante anime sono sopravvissute adesso, a Berlino?

Berghain, Friedrichshain (foto di C. Zorzi)

Berghain, Friedrichshain (foto di C. Zorzi)

Era l’agosto del 2014 quando Klaus Wowereit, dopo tredici anni in carica come sindaco, annunciava le sue dimissioni per dicembre, un anno prima della fine del suo mandato. Anni durante i quali aveva cambiato il volto della capitale tedesca. È sua l’affermazione «Berlino è povera, ma sexy»: per decenni la città è stata la parente povera fra le metropoli tedesche. Culturalmente all’avanguardia, Berlino aveva ancora alti tassi di disoccupazione e stipendi più bassi rispetto al resto della Germania. Ma con il nuovo secolo è diventata un colosso del turismo e un magnete per le start-up. Una metamorfosi che ha convinto gli investitori a portarci i loro capitali, cambiando l’aspetto del paesaggio urbano. Un paesaggio che ha sempre volontariamente resistito al tempo, che non ha mai nascosto il suo passato, un paesaggio che trasudava melanconia ed indifferenza.

 

Oggi, la multiformità di Berlino si sta appiattendo sulla tavola del globale. È caduta nella trappola della globalizzazione, è l’ennesima vittima dell’ironia della contemporaneità.

Brothers e Chains, Blu, Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte La Repubblica online)

Brothers e Chains, Blu, Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte La Repubblica online)

Era sempre il 2014, per l’esattezza la notte tra l’11 e il 12 dicembre quando il celebre artista marchigiano Blu, cancellava i suoi due famosi murales a Cuvrystraße, nel quartiere di Kreuzberg. Esattamente lì, al di là dell’Oberbaum Brucke – da dove si può godere di una fantastica vista passandoci con la sopraelevata U1 – nell’area concessa ad artisti anarchici, lungo le rive della Sprea, Blu aveva eretto due veri manifesti di resistenza alla contemporaneità.

Cancellazione dei murales di Blu a Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte Il Mitte online)

Cancellazione dei murales di Blu a Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte Il Mitte online)

Erano il 2007 e il 2008, gli anni della crisi economica, quando lo street artist si prestava ad esprimere quella resistenza silenziosa della Berlino Est al fenomeno del capitalismo. Il soggetto di Chain – opera di forte critica al consumismo – era un manger che si sistemava la cravatta sfoggiando due rolex d’oro che in realtà lo ammanettano legati da una catena d’oro. Brothers si componeva invece di due figure mascherate che cercavano di togliersi a vicenda la maschera con una mano, l’altra mano era impegnata a creare una lettera: una W di West e l’altro la E di East.

Le opere erano diventate attrazione turistica e stavano per realizzarsi moderne pareti a vetrate, finestre che li avrebbero incorniciati a prezzi accessibili a pochi che avrebbero avuto i Blu di Kreuzberg in casa. E così, Blu stesso, oppone resistenza. Si cancella, si azzittisce, smette di incoraggiare e promuovere la resistenza, per resistere. Blu diventa nero.

Fuck You Gentrification, Beamten, Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte Berlino Magazine)

Fuck You Gentrification, Beamten, Cuvrystraße, Kreuzberg (fonte Berlino Magazine)

A giugno dell’anno successivo un enorme dito medio bianco su nero (gli autori, che rimangono sconosciuti, si firmano Beamten, ossia funzionari) si erge di fronte a qualsiasi intenzionalità di brandizzare un’ideale, ed evoca quella rivendicazione al diritto alla città che – come scrive Lefebre – «si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare. Il diritto all’opera (all’attività partecipante) e il diritto alla fruizione (ben diverso dal diritto alla proprietà) sono impliciti nel diritto alla città» (Lefebvre, Le droit à la ville, 1968) che si esprime nella rottura del quotidiano, della routine come elemento di controllo, e implica una riappropriazione di tempi e spazi del vivere urbano.

A Berlino, tutto questo è nero. A Berlino siamo tutti neri.

Per approfondire:

BLU in Berlin – November 2008

Inoltre:

Il nero della Berlino underground non è assenza, ma presenza, espressione chiara e forte di una resistenza indifferente. Quella del buio delle notti berlinesi, affollate di corpi indistinti vestiti di nero. Dove si è e si può essere qualsiasi cosa si voglia essere. Quello che importa è esserci, esercitare lo stare al mondo, appropriarsi di quella condizione che permette l’evasione. Esserci per esercitare la libertà.

Sitografia:

https://www.repubblica.it/speciali/arte/gallerie/2014/12/12/foto/berlino_il_mistero_dei_murales_di_blu_cancellati_nella_notte-102747246/1/?refresh_ce#1
https://ilmitte.com/2014/12/berlino-blu-murales-street-art/
https://www.artribune.com/tribnews/2014/12/leutanasia-artistica-di-blu-il-celebre-street-artist-italiano-cancella-i-suoi-due-piu-importanti-murales-berlinesi-con-gli-investimenti-edilizi-a-kreuzberg-sarebbero-comunque-stati/
https://berlinomagazine.com/berlino-cuvrystrasse-nuovo-murales-dove-prima-cera-blu-fuck-you-gentrification-34556/
https://vandalo.blogspot.com/2017/06/blu-chain-cuvrystrae-berlino-2008.html
https://taz.de/15-Jahre-Arm-aber-sexy-Spruch/!5546816/
https://www.ilpost.it/2013/06/26/discorso-kennedy-ich-bin-ein-berliner/
https://www.ilsole24ore.com/dossier/20191107-muro-di-berlino-ACX9BRx?refresh_ce=1