Lorenzo Dolfi e Cristiano Tancredi
Tra antiche vestigia e spazi non ancora aggrediti dalla cementificazione, il Parco degli Acquedotti è un tratto di Agro Romano che si estende dal cuore della Città Eterna sino ai Colli Albani. Con un’ampiezza di oltre 240 ettari tra la ferrovia che collega Roma e Napoli, via delle Capannelle e il quartiere Appio Claudio, costituisce il principale polmone verde del quadrante sud-orientale della città, ponendosi come elemento essenziale per il miglioramento della qualità della vita degli abitanti.
In ogni contesto urbano le aree verdi sono una risorsa indispensabile per la sostenibilità. Esse costituiscono strumenti imprescindibili per implementare strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché per la conservazione della biodiversità e dei processi ecologici, con il non secondario obiettivo di tutelare la salute degli abitanti.
La città di Roma, per quel che concerne la presenza di parchi a destinazione di verde pubblico e di zone ad uso agricolo, non ha eguali in Italia e in Europa. Nonostante il fenomeno di sprawl urbano abbia reso più labile la distinzione tra città e campagna, numerosi sono i lacerti di Agro Romano che hanno resistito all’urbanizzazione.
Situato in uno dei Municipi con la maggiore densità abitativa della Capitale (il VII) e inserito nel più ampio contesto del Parco Regionale dell’Appia Antica, il Parco degli Acquedotti rappresenta un vero e proprio polmone verde, oltre ad avere la peculiarità di rispondere a una duplice esigenza: da un lato la tutela degli ecosistemi naturali presenti, dall’altro la valorizzazione del cospicuo patrimonio storico-archeologico e paesaggistico.
Storia del luogo
La conoscenza delle vicende storiche, che hanno attraversato e percorso un’area da sempre centro di interessi collettivi e privati, è di primaria importanza per una gestione in grado di valorizzarne le peculiarità. Caratteristica del luogo è la commistione di simboli relativi all’Impero Romano, quelli del dominio spirituale della Chiesa cattolica e i segni di una vita economica pesantemente rurale, modestissima e quasi primitiva (Bortolotti, 1988).
Si tratta di una superficie destinata a verde pubblico che prende il nome dagli antichi acquedotti che, un tempo, garantivano a Roma l’afflusso delle acque necessarie al suo fabbisogno. Questi, sette in totale, sono prevalentemente databili tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., mentre uno è di età Rinascimentale, l’Acquedotto Felice. La grandiosità di queste strutture idrauliche è da attribuire alla particolare conformazione geomorfologica, che ne consentiva la giusta pendenza sino all’Urbe.
In epoca romana, l’area degli Acquedotti era densamente abitata e connotata dalla presenza di numerose “ville rustiche”. Tra il I e il II secolo d.C. inoltre, lungo l’asse della via Latina, le proprietà di estensione medio-piccola vennero unificate in latifondi di più ampia dimensione, i quali videro ben presto il sorgere di monumentali ville destinate all’aristocrazia romana. Citiamo a tal proposito la villa delle Vignacce, la villa dei Sette Bassi e altri edificati, parte dei quali sono stati recuperati, in anni recenti, da scavi archeologici.
All’indomani della caduta dell’Impero Romano, invasioni barbariche, guerre ed epidemie portarono a una riduzione massiccia della popolazione all’interno delle Mura Aureliane e a un abbandono pressoché totale del territorio circostante. Queste enormi distese videro l’inizio di un graduale ripopolamento a partire dal tardo medioevo. Intorno all’XI secolo, la Chiesa cominciò a cedere il suo ingente patrimonio terriero alle famiglie nobiliari romane, dando luogo a un processo di trasformazione della proprietà fondiaria. I grandi possedimenti condizionarono la geografia di questo territorio e le diedero quelle connotazioni che ancora oggi è possibile cogliere in parte[1].
Con il XVII secolo la Campagna Romana, con il suo connubio tra vestigia e natura, iniziò ad essere oggetto di attenzione da parte di studiosi, poeti, scienziati e artisti quali Goethe, Chateubriand, Stendhal e Anderson che, giunti a Roma per il tradizionale Grand Tour, si avvicendarono in quella che un tempo era chiamata la “Piana de’ Condotti”, per l’appunto l’area dove si trovano gli Acquedotti romani.
La realizzazione delle infrastrutture ferroviarie che collegavano Roma con il Mezzogiorno, nel XIX secolo, determinò ulteriori alterazioni della struttura del territorio. Parte delle arcate degli acquedotti vennero abbattute, così come numerosi reperti archeologici scoperti nel corso dei lavori. In epoca più recente, con il Piano Regolatore del 1931, venne posto un punto fermo ad una situazione che sembrava dover sfociare nella cementificazione di un territorio pregno di significatività storiche, archeologiche e paesaggistiche.
A partire dal Secondo dopoguerra e sino agli anni ’70 del secolo scorso, nell’area degli Acquedotti, la storia narra di ampie sacche di disagio sociale che si acuirono. Le cosiddette baracche o borghetti che si ammassavano sotto le arcate dell’Acquedotto Felice vennero espropriate dopo che, nel 1965, il Piano Regolatore Generale aveva destinato l’intera zona a verde pubblico. Nonostante l’impegno della Sovrintendenza, si verificarono innumerevoli episodi di abusivismo edilizio e nel complesso il territorio rimase sprovvisto di un presidio efficace in grado di attuare azioni virtuose volte alla sua riqualificazione. In seguito, tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, stante il perdurare delle condizioni di degrado, numerosi furono i comitati di cittadini che si attivarono per la salvaguardia del Parco degli Acquedotti, riuscendo con il supporto di diversi intellettuali, tra i quali Lorenzo Quilici, ad inserire quest’area nel più vasto Parco Regionale dell’Appia Antica[2].
valorizzare, al giorno d’oggi, un patrimonio che non ha eguali nel mondo?
La grande presenza di proprietà private all’ interno dell’area, eredità del frazionamento fondiario verificatosi sin dal medioevo, si riscontra oggi nel fatto che l’82% del territorio del Parco è di proprietà privata, con una forte prevalenza della medio-grande proprietà appartenente alle famiglie della vecchia aristocrazia (38%), da piccole proprietà private (30%) e dagli enti religiosi (14%)[3]. Proprio l’eccessivo frazionamento del Parco dal punto di vista delle proprietà costituisce un problema di natura gestionale e amministrativa, nonché un fattore potenzialmente in grado di condizionare negativamente la capacità di agire progettuale, insita in questo territorio e derivante dall’azione sia delle istituzioni, sia di comitati di cittadini. Pertanto, diventa necessario tenere conto della “pluralità delle culture, delle esperienze urbane, delle forme di convivenza, delle idee di città, dei vissuti, dei valori simbolici e degli immaginari, delle aspettative per il futuro, delle interpretazioni di benessere e di “ben vivere” (…) di cui ciascuno è portatore” (Cellamare C., 2011)[4].
Particolarità del luogo
Il Parco degli Acquedotti, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, è stato teatro e scenografia delle riprese di alcuni tra i principali cineasti italiani. Le antiche vestigia degli Acquedotti hanno fatto da sfondo alle scene di alcune pellicole che sono entrate nell’immaginario collettivo, quali “Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli, nelle cui scene è ben riconoscibile l’Acquedotto Claudio, “La dolce vita” di Federico Fellini e “Mamma Roma” di Pierpaolo Pasolini. Quest’ultimo in particolare, con il suo approccio neorealista all’arte cinematografica, descrisse accuratamente nelle sue riprese il forte degrado in cui versava l’area in quegli anni, i borghetti e le case abusive in cui
vivevano, dimenticati, i cosiddetti baraccati. Più di recente, il Parco è stato scelto come set cinematografico di una delle scene principali della Grande Bellezza, di Paolo Sorrentino, in cui l’attrice Anita Kravos, durante una performance teatrale, si lancia contro il muro di uno dei sette acquedotti .
Bibliografia e sitografia
Bortolotti L., Roma fuori le mura, l’agro romano da palude a metropoli, Roma-Bari, Editori Laterza, 1988;
Cellamare C., Progettualità dell’agire urbano, Roma, Carocci editore, 2011;
Comune di Roma, Il verde pubblico di Roma Capitale: anno 2016, 2018;
Luciani R., La Chiesa di San Policarpo e il parco degli acquedotti, Roma, Timia, 2015;
Montanari P., Appio Latino Tuscolano. Alla luce delle più eclatanti scoperte, Roma, Europa, 2017;
Rossetti C., Il Parco Regionale dell’Appia Antica, IV itinerario: l’area di Tor Fiscale e degli Acquedotti, in «Forma Urbis: itinerari nascosti di Roma antica», 5 maggio 2011;
Tomassetti G., Via Latina, in La campagna romana, antica, medioevale e moderna, nuova ed. a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, Roma, Banco di Roma, 1976;
www.parcoappiaantica.it, Parco dell’Appia Antica.
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