153 anni di Società Geografica Italiana. (1867-2020)
Filiberto Ciaglia
Quello del 153° anno di vita della Società Geografica Italiana è un anniversario sottotono. Palazzetto Mattei, così come le altre sedi nazionali che ospitano gli istituti di cultura, ha chiuso al pubblico e ai propri dipendenti l’ingresso dal 10 marzo a causa dell’epidemia di coronavirus che ha colpito il nostro paese e che, rapidamente, si è diffusa in tutti gli stati del mondo con maggiore o minore capillarità. L’impossibilità d’una celebrazione doverosa nella sede in Villa Celimontana non ostacola, tuttavia, l’omaggio che ogni personalità legata in qualche modo all’istituto renderà con un’inevitabile riflessione connessa alle particolari circostanze, che per un attimo mettiamo da parte.
Il 12 maggio 1867, a Firenze, per iniziativa di Cristoforo Negri, Orazio Antinori e l’allora ministro della pubblica istruzione Cesare Correnti fu fondata la Società Geografica Italiana, la quale ottenne due anni dopo il riconoscimento di “ente morale” e nel 1872 si trasferì a Roma dove dal 1924 occupa l’attuale sede.
Il processo di formazione dell’istituto si innestò nel quadro dell’assestamento graduale dell’Italia unita, che collocatasi tra le potenze europee nella sua nuova interezza geografica, rivolse alla pari delle altre nazioni lo sguardo oltremare. Fino all’unificazione nazionale, partendo dall’età delle scoperte geografiche, gli esploratori italiani portarono le loro conoscenze al servizio dei più compatti e potenti stati europei proiettati all’esplorazione degli oceani, senza contare quanti già a partire dall’epoca medievale si erano distinti nei viaggi terrestri diretti alla scoperta degli imperi asiatici o in avveniristiche traversate marittime. Da Cristoforo Colombo a Giovanni da Verrazzano, da Giovanni Caboto ad Andrea Corsali, da Alvise ‘Ca da Mosto ad
Antoniotto Usodimare, da Amerigo Vespucci a Ludovico de Varthema, i viaggiatori nati e cresciuti nella penisola diedero un impulso sostanziale alla scoperta delle terre inesplorate da parte dell’Europa che si fece errante a partire dal XV° secolo. Il contributo dei navigatori italiani, figli delle conoscenze che dei mari ebbero le Repubbliche Marinare, le quali proprio a partire dalla fine del Medioevo conobbero il lento declino nei domini mediterranei, si trasmise di generazione in generazione attraverso le epoche, finché l’unificazione nazionale dotò la penisola di una propria Società Geografica quale realtà inclusiva dei più importanti cultori delle scienze geografiche e, appunto, degli avventurieri. La conoscenza del mondo nella seconda metà del XIX° secolo era certo più avanzata se si fa un raffronto con l’età delle scoperte geografiche. Quel che rimaneva da esplorare era ad ogni modo una serie di vaste porzioni della superficie terrestre dai due poli a vaste aree dell’Amazzonia, dalle catene montuose dell’Asia Centrale alla parte ancora
ignota dell’Africa profonda. In aggiunta, a quell’esplorazione geografica e classica che si spinse oltre i confini delle mappe e ne riportò i nuovi tratti sulla carta, si affiancò una chirurgica analisi e catalogazione delle specie animali e botaniche, uno studio della geologia di quelle aree e dei popoli che vi risiedevano da millenni, alcuni con alle spalle rarissimi contatti con gli europei. Fu un’esplorazione, specie quella africana, motivata altresì dall’esigenza d’un primo sguardo su angoli di mondo pensati per la predisposizione di un impero coloniale, e in effetti molti dei viaggi compiuti nel continente a partire dalla seconda metà del XIX° secolo furono di fondamentale importanza preparativa in vista dell’espansione nazionale in Africa Orientale. Quella frenetica accelerazione ai confini delle mappe attirò in Società Geografica Italiana le più grandi personalità legate al mondo dell’esplorazione, le cui traversate ebbero una risonanza che andò molto al di là dei confini nazionali. Si pensi, per citarne alcuni, ad Orazio Antinori in Africa, ai viaggi patagonici ed artici di Giacomo Bove, alle conquiste alpinistiche ed artiche del Duca degli Abruzzi, a Enrico Giglioli ed al suo viaggio intorno al mondo, a Ermanno Stradelli sperduto nel buio geografico dell’Amazzonia meno nota, alle fotografie di Vittorio Sella dal Caucaso all’Himalaya, alla Birmania raccontata da Leonardo Fea.
Il materiale raccolto dagli esploratori e i loro resoconti di viaggio sono conservati nel vastissimo patrimonio documentario della Società Geografica Italiana, ove in molti casi essi stessi tennero conferenze a seguito dei grandi viaggi esplorativi, per esporne risultati che accrebbero le conoscenze della comunità scientifica internazionale. Oltre a quegli esploratori, operarono nella Società ed al servizio della Società ricercatori, politici, docenti universitari e “viaggiatori dell’intorno” che approfondirono gli studi geografici relativi alla penisola italiana, evidenziando le criticità ove ve ne fossero, fungendo da base scientifica per una presentazione di quei risultati ai più alti livelli istituzionali e ministeriali.
A partire dalla seconda metà del ‘900, la fine degli eventi bellici e la rinnovata pace globale spensero l’accelerazione esplorativa che caratterizzò l’Italia ed altre potenze europee a partire dalla metà del XIX° secolo, e la Società Geografica Italiana si occupò da allora in modo particolare della promozione della ricerca nelle scienze geografiche, patrocinando talvolta escursioni scientifiche sia in Italia che all’estero, scopi che ancora oggi vengono perseguiti con dedizione ed attenzione tanto alla storia quanto all’attualità.
A 153 anni dalla nascita, conoscere la Società Geografica Italiana è un invito rivolto non solo ai geografi, agli storici, ai geologi o agli appassionati, ma anche ai cittadini curiosi di intraprendere un viaggio duplice a ritroso e nel presente, che consente attraverso un ricchissimo patrimonio documentario, cartografico e fotografico uno studio multidisciplinare di ogni angolo del mondo a chi vorrà approfondire lo sguardo e, a chi sceglierà solo di visitare e scoprire la struttura, di acquisire una rinnovata consapevolezza di quale fu il cuore pulsante dell’Italia che, unitasi, alzò lo sguardo mediante i suoi pionieri alle culture più lontane e ai luoghi oltre i confini delle mappe.