Marco Martire e Filiberto Ciaglia
Ingegnere di innato talento e specialista nella costruzione di aeronavi e dirigibili, Umberto Nobile possedeva anche uno spiccato senso dell’avventura.
I suoi progetti per la costruzione di dirigibili di nuova generazione erano avveniristici: se ne accorse anche Roald Amundsen, il grande esploratore norvegese, il quale lo chiamò per progettare, costruire e pilotare l’aeronave «Norge» dopo che i suoi tentativi di raggiungere il Polo con due idrovolanti si erano rivelati fallimentari. Così il dirigibile N1, costruito da Nobile tra il 1923 e il 1924 per il trasporto passeggeri, fu riadattato per sostenere la traversata polare e preparato per il volo. Il dirigibile era stato collaudato in alcune trasvolate tra Spagna e Francia. Era un prodigio della tecnica: azionato da tre motori, poteva raggiungere la velocità di 113 chilometri orari; 18.000 metri cubi di idrogeno riempivano l’involucro lungo 106 metri e dal diametro di quasi 19 metri. Questo gigante dell’aria, formato dalla cabina con equipaggio, provviste e strumenti, poteva sostenere un peso di 6,5 tonnellate.
Le più alte personalità d’Italia accorsero ad ammirare il «Norge» nel giorno della sua inaugurazione, il 27 marzo 1926.
Tra loro c’era anche il re Vittorio Emanuele III. Tutto era pronto per il grande salto: il 10 aprile 1926 il «Norge» si staccò da terra alle 9:30 del mattino. La prima tappa fu Leningrado, dove l’aeronave arrivava dopo aver compiuto 1.200 chilometri, passando dalla Gran Bretagna e da Oslo.
La sosta durò più di quanto ci si aspettasse, a causa delle avverse condizioni atmosferiche, e così il «Norge» riuscì a ripartire solo il 5 maggio. Con il nuovo decollo, l’aeronave fece una breve sosta a Vadso in Norvegia per poi puntare finalmente alla Baia del Re, nelle isole Svalbard, dove era stato preparato un campo dal quale ripartire per raggiungere e sorvolare il Polo.
Anche alla Baia del Re, tuttavia, la spedizione subì un nuovo arresto: in quei giorni il clima non risultava affatto clemente e bisognò nuovamente aspettare l’11 maggio per prendere il volo. Tutto sembrò diventare più difficile, ma la fortuna aiutò quegli uomini coraggiosi: il 12 maggio alle 01:30 (ora di Greenwich) il «Norge» conquistava il Polo Nord.
Dalla cabina, Nobile, Amundsen ed Ellsworth lanciavano sui ghiacci le bandierine dei loro Stati di appartenenza: Italia, Norvegia e Stati Uniti. Subito dopo se ne perdevano però le tracce e molti cominciarono a preoccuparsi del destino della spedizione. Fu tirato un sospiro di sollievo quando, il 14 maggio, arrivò la conferma dell’avvenuto attraversamento della calotta polare: il dirigibile era stato avvistato da parte di una stazione scientifica a Punta Barrow, situata poche centinaia di miglia distante dal luogo previsto per l’atterraggio in Alaska. Il «Norge» proseguiva la sua rotta verso l’Alaska, ma fu obbligato ad un’ultima deviazione a causa del maltempo, riuscendo comunque ad arrivare al villaggio di Teller nelle prime ore del 14 maggio. Complessivamente, l’aeronave aveva compiuto un viaggio di 171 ore di volo e 13.000 chilometri.
L’aver accertato l’assenza di terre tra il Polo e Punta Barrow, la cui esistenza era stata ipotizzata molte volte, fu il principale risultato scientifico; ma di grande importanza furono anche le osservazioni meteorologiche compiute in una regione fino ad allora sconosciuta.
L’Archivio fotografico della Società Geografica Italiana custodisce fototipi e documenti relativi alla trasvolata polare del 1926, tra cui un telegramma (fig. 1) inviato direttamente dal «Norge» che, nella brevità della comunicazione, racchiude l’intensità del traguardo raggiunto:
Il dirigibile aveva appena oltrepassato il Polo, in direzione dell’Alaska.
Per approfondire
Larsen Riiser H. (1926), Il primo volo polare di Roald Amundsen, in: «Bollettino della Società Geografica Italiana»,pp. 528-547.
Roncagli G. (1926), La prima traversata aerea dell’Artide, in: «Bollettino della Società Geografica Italiana», pp. 736-780.
Zavatti S. (1976), Il cinquantenario del volo transpolare del Norge (1926-1976), in: «Bollettino della Società Geografica Italiana», pp. 343-347.