di Marco Perisse
La Gran Bretagna celebra il centenario della morte di uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi, Ernest Shackleton, con una mostra aperta a Londra lunedì 7 febbraio 2022 presso la Royal Geographical Society che presenta una serie di pionieristiche foto dell’Antartico.

Al contempo, il British Film Institute, sempre nella capitale, presenta una versione rimasterizzata di South, film-documentario (uno dei primi mai realizzati) della sua spedizione sulla nave Endurance. Il filmato e gran parte degli scatti sono opera di Frank Hurley che navigò con Shackleton e fu uno dei maggiori fotografi e film-maker del XX secolo. Quando Shackleton morì, a soli 47 anni, il 30 gennaio 1922 un profondo cordoglio invase la Nazione: era scomparso l’uomo che aveva salvato l’intero equipaggio di 28 uomini della Endurance – affondata nel 1915 – con un ardito viaggio di 750 miglia su una scialuppa aperta nei mari polari allora semi-sconosciuti per raggiungere una remota stazione baleniera e lanciare il soccorso dei naufraghi. L’impresa rimane fra le più epiche di ogni tempo.
Nato in Irlanda e cresciuto nella zona sud di Londra, Shackleton era stato al Polo Sud la prima volta al servizio della spedizione della Discovery del 1901-1903 guidata da Robert Scott. Shackleton tornò in Antartico con una sua spedizione sulla Nimrod e condusse un gruppo di quattro uomini per oltre 100 chilometri sui ghiacci nel 1909 prima di prendere la coraggiosa decisione di fare dietro-front verso il campo base sul ghiacciaio Beardmore valutando – correttamente – che i viveri non sarebbero altrimenti bastati alla missione di raggiungere il Polo Sud geografico. Ci riuscirono, due anni dopo, le spedizioni del norvegese Roald Amundsen e quella diretta da Scott che si concluse però tragicamente per la morte degli uomini nel viaggio di ritorno al campo base.

Una volta che i Poli erano conquistati, e i passaggi più inaccessibili attraversati, l’attenzione si spostò sull’esplorazione continentale antartica. L’obiettivo di Shackleton era l’attraversamento dell’Antartide passando per il Polo Sud. Il brigantino di 350 tonnellate Endurance partì da Londra nell’agosto del 1914, in pratica quando la Gran Bretagna entrò in guerra contro la Germania: Shackleton si offrì di tornare indietro, ma fu autorizzato a proseguire. Ma già nel gennaio del 1915, arrivato nel mare di Weddell a ridosso della piattaforma continentale, la nave rimase incastrata e l’equipaggio intrappolato per mesi finché la morsa del ghiaccio finì per spezzare lo scafo. Shackleton aveva allestito un campo sulla calotta nella speranza che lo scioglimento liberasse l’Endurance. In quel periodo, Hurley scattò alcune delle fotografie più drammatiche nella storia dell’esplorazione polare del XX secolo, comprese le straordinarie immagini in controluce della nave imprigionata e ricoperta di ghiaccio. Nel buio polare furono lanciati razzi in sequenza per fare bagliore sincronizzandolo con il momento in cui Hurley premeva l’otturatore della fotocamera. L’esito sono raffigurazioni tra le più iconiche nella storia della fotografia. Ma con la perdita della nave prendeva il via l’impresa epica del suo capitano.

L’unica speranza fu vista nella piccola isola dell’Elefante, circa 700 chilometri a nord, dove poteva esistere un deposito di viveri. Il gruppo si portò dietro due lance e lo stretto indispensabile per sopravvivere. Dopo settimane di marcia estenuante nella neve molle, gli uomini sostarono su un blocco del pack, che chiamarono Campo Oceano sperando che la deriva li trascinasse verso nord. Ma non andò così. I naufraghi furono spinti con viveri e lance giù dal lastrone e, fradici, cominciarono a vogare lottando contro i rischi dell’ipotermia. Rividero terra per la prima volta il 15 aprile dopo 497 giorni di drammatica peregrinazione tra acqua e ghiacci: ma l’isola dell’Elefante non solo era deserta, era anche terribilmente inospitale. Shackleton comprese che sarebbe stato impossibile affrontare l’inverno antartico in un luogo dove nessuno sarebbe venuto a cercarli. Bisognava ancora procedere, avanzare, cercare soccorso. Ma dove? La scelta cadde sulla Georgia Australe, un’isoletta a nord-est dove, a Stromness, era stato fissato uno scalo delle baleniere. Da essa li separavano 1300 chilometri di mare. Per la traversata fu scelta una lancia robusta il cui nome sarebbe divenuto leggendario, la James Caird.

Shackleton partì con cinque uomini e il battello zavorrato di sassi per renderlo più stabile allo sferzare dei venti e ai marosi del terrificante canale di Drake, il più burrascoso del mondo, che li accolse con onde altissime e venti di uragano. Dopo 15 giorni di mare, l’8 maggio 1916 l’equipaggio semicongelato e spossato avvistò l’isola. Ma le peripezie non erano finite. Gli unici insediamenti umani si trovavano nella parte orientale, sul lato opposto rispetto a quello dell’approdo. Il capitano scartò l’idea di aggirare per mare l’isola, perché la Caird era malmessa al punto da sconsigliare il periplo: non restava che attraversare la Georgia a piedi, percorrendo 40 chilometri di impervie montagne e di ghiacciai in cui nessuno s’era mai avventurato. Per 36 ore, con una estrema marcia forzata, senza pause né accampamenti, muniti solo di qualche metro di corda e un’ascia da carpentiere, Shackleton, l’abile timoniere Worsley – alle cui abilità si doveva in gran parte la riuscita della traversata – e il marinaio Tom Crean affrontarono creste e speroni, ghiacciai e precipizi. Il 20 maggio gli operai dello scalo baleniero videro spuntare individui ispidi e provati. I loro tormenti erano finiti.

Un paio di mesi più tardi, tutti i 22 uomini rimasti sull’isola dell’Elefante, che per tre mesi erano sopravvissuti mangiando carne di pinguino e di foca, vennero tratti in salvo dal peschereccio cileno Yelchi guidato sul sito del naufragio da Shackleton che rimetteva piede sull’isola il 30 agosto. In Europa imperversava la guerra e, tornato a casa, Shackleton si arruolò. Dopo il conflitto programmava una nuova spedizione: la circumnavigazione dell’Antartico. Gliela impedì la morte, ma l’audacia, il suo esempio di leadership e la tenacia avevano segnato per sempre l’era delle esplorazioni polari con un’impresa rimasta memorabile.