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Leg.Geo – LE CITTÀ INVISIBILI, di Italo Calvino

Cristiana Zorzi

Ah, la città!

Quell’organismo mutevole e dinamico che produce orizzonti senza confini nell’espandersi.

Per lo starci, oppure per il non starci, attraverso la città, ci si identifica.

Espressione (forse troppo convinta) di quella pratica dell’abitare che l’uomo difficilmente riesce a contenere, le città si espandono invisibili oltre i bordi delle loro periferie (quali periferie?). Annientano i confini ai loro margini, assumono i margini come dato esistenziale più che come limite, e giocano a produrne e riprodurne. Attraverso sé stesse, dentro sé stesse (tutto è città?).

Città fatte delle relazioni tra la misura del loro spazio e gli avvenimenti del loro passato (p. 10).

Città che assumono la forma dai deserti a cui si oppongono (p.18).

Città ridondanti, che «si ripetono perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente». Memoria ridondante: ripete i segni perché la città cominci ad esistere (p. 19).

Città dalle forme possibili, quelle che avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo (p. 31).

Città che danno forma ai desideri, e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città, o ne sono cancellati (p. 35).

Città sospese sull’orlo di un precipizio, che continuano ad abitare: si costituiscono del precipizio (p. 74).

Città che si sfiorano soltanto con lo sguardo (p. 91) o quelle dove non si arriva mai, che s’immaginano soltanto attraverso il nome (p. 93).

Città che si vogliono mantenere, anche oltre i limiti del viverci (p. 109-110).

Città immutabili, identiche a sé stesse (p. 65). E città fatte di concatenazioni di cambiamenti implicati tra di loro, inevitabili, si producono l’uno dall’altro, producono città mai uguali a sé stesse, come se non convenga, restare uguali nel tempo (p. 151).

Città dappertutto (p. 153).

Città future presenti in questo istante, avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili (p. 161).

Città fatte di memoria, desideri, segni. Città sottili. Città di scambi, di occhi, di nomi, di morti. Città e il cielo. Città continue.

E poi, atlanti, che hanno una qualità: «rivelano la forma di città che ancora non hanno una forma né un nome» (p. 140).

Calvino scrive qualcosa che dice essere una cosa come «l’ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città» (lo dice in una conferenza, a New York, nel 1983).

Oggi, città mutate e mutevoli, riconsiderate, svuotate di sé e delle loro funzioni. Trasferite altrove, in rete, sul cloud, per continuare a poter esistere. Stressate dal desiderio di campagna, quella dove gli orizzonti sono anche visibili e non solo immaginabili. Presenza, l’orizzonte delle città, percepita nel tempo del loro divenire infinito, più che nello spazio del loro esistere fino ad un limite oltre al quale è l’infinito (potrebbe dirci qualcosa di più e di più avvincente sull’orizzonte, Berque).
Oggi, le città si rileggono. E potremmo rileggerle tra le righe di questo libro che, ad ogni rilettura, cambia (come le città?), perché, forse, tenderei a dire, mi pare scritto più tra gli/dagli spazi vuoti, così poetici, che dalle parole.


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